sabato 30 gennaio 2016

Pink Floyd - The Dark Side of the Moon, 1973

Quello in esame è il classico disco del quale è terribilmente difficile parlare senza finire per dire banalità e riproporre minestre riscaldate. Sono stati davvero versati fiumi di inchiostro (perché al tempo si trattava di vero inchiostro) e, in seguito, digitati milioni di caratteri per celebrare il capolavoro di uno dei gruppi simbolo degli anni Settanta, nonché - per lungo tempo - disco più venduto della storia della musica, primato strappato poi da Thriller di Michael Jackson; del
resto c'è una copertina più famosa del prisma ideato da Storm Thorgerson dello studio Hipgnosis? Un'icona, per decenni; oggi un meme su Internet.
Il decennio dei '70 viveva di una cultura e di un gusto che consentiva a un simile successo di vendite di essere al tempo stesso un'opera d'arte, evento pressoché impossibile nel clima attuale.
Dark Side of the Moon è, in sintesi, la summa dell'arte dei Pink Floyd, almeno nella loro fase post-psichedelica, il disco più rappresentativo del loro stile, quello più facilmente riconoscibile dai profani (insieme a The Wall) anche se non necessariamente il miglior lavoro in assoluto, a detta di alcuni, che si spingono fino al revisionismo, negandogli addirittura il diritto di godere di una fama tanto vasta.
Lasciatasi definitivamente alle spalle la fase psichedelica/barrettiana ma anche l'ambizioso esperimento di progressive puro di Atom Earth Mother, Waters e compagni distillano in Dark Side l'essenza di quello che resterà come il loro sound. Il disco è un coraggioso esperimento di art rock, la nuova tappa di un lungo viaggio in una zona misteriosa in cui soluzioni sonore inedite si offrono spontaneamente agli artisti. Forse il suo fascino consiste proprio nel porsi come passaggio in itinere, tappa intermedia.
L'ansia, l'ossessione e l'incomunicabilità sono onnipresenti, complice l'estro tormentato e geniale di Roger Waters che cerca di trovare modi inediti di veicolare quel tormento esistenziale e quel disagio che sente dentro di sé. La formula che viene trovata in Dark Side per raggiungere un pubblico più vasto, senza per questo scendere a compromessi con l'ispirazione artistica, è quella della forma-canzone, cui i brani tornano abbandonando le lunghe suites psichedelico-progressive dei dischi precedenti. Ma alla semplificazione della forma non corrisponde quella del suono, come già detto, poiché la band dà fondo a tutte le proprie risorse mettendo in campo ogni possibile strumento musicale, acustico o elettronico, fino all'uso di rumori, suoni reali, a cominciare dal battito cardiaco che fa spesso da collante in questo concept album.

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