mercoledì 27 gennaio 2016

Depeche Mode - Violator, 1990

Il synth-pop ha dominato gli anni '80 e i Depeche Mode ne sono stati gli indiscussi maestri. A decennio chiuso, nel 1990, quando altri gruppi migravano altrove o si avviavano all'estinzione, la band del tormentato Dave Gahan e del folletto Martin Gore, autore di testi e musiche, approdava invece al suo lavoro più compiuto e al suo disco dal maggior riscontro commerciale, apoteosi di una vena creativa solo a prima vista leggera: Violator. Ritornelli micidiali, sintetizzatori
che dominano il suono nella loro fredda perfezione ma anche strumenti tradizionali per dare corpo a un blues-rock rinnovato; e il gioco è fatto: la musica elettronica popolare elevata ad arte.
È possibile oggi fare a meno di brani come World in my eyes, Enjoy the silence, Personal Jesus, Policy of truth? Hanno assunto lo status di classici senza tempo garantendo ai Depeche Mode fama e un grande riscontro di critica per quella che resta comunque un'irripetibile raccolta di successi. Questo è uno dei casi in cui il successo, quello commerciale, non deve essere motivo di vergogna, perché intercetta qualcosa che c'è nell'aria, porta a perfezione un genere (l'elettronica) fondendolo con le istante del rock puro e con la melodia, abbattendo (violando?) le barriere fra i generi così da traghettare verso la musica del decennio futuro; perché sì, Violator fu obiettivamente un disco seminale - come si dice in questi casi - per le correnti degli anni '90. Impossibile non citare, da questo punto di vista, l'impeccabile produzione da parte di sua maestà Flood, il cui apporto all'affinamento del sound è innegabile.
Se prima di questo album i critici avevano perlopiù identificato nella band di Basildon, nell'Essex, cittadina della provincia britannica, uno dei tanti gruppi di synth-pop in circolazione (difficile comunque continuare a farlo, dopo lavori del calibro di Black Celebration, 1986, e Music for the masses, 1987), di certo dopo un'uscita di questo livello non fu più possibile negare il peso di una musica, che sfondava in Europa, in America e nel resto del mondo e piaceva perché dietro l'apparenza disimpegnata del pop elettronico nascondeva un'anima dark e le pulsazioni del rock, anche se di un rock rinnovato, forse irriconoscibile. Qualunque fosse il segreto alchemico custodito dai quattro musicisti, all'alba dell'ultimo decennio del secolo essi divennero delle autentiche star.
Gore, seconda voce di alcuni splendidi brani, oltre che autore, raggiunge qui uno dei suoi vertici creativi. Le parole delle tracce di Violator, forse spesso messe in ombra dalla melodia e dal sound tutto, sono di una bellezza e di una semplicità sconcertanti. Ci sono pessimismo, spietatezza, sesso, dipendenza, droga, ossessione, senso di colpa, desiderio di ascesi religiosa, nichilismo, caduta e redenzione diffusi in liriche taglienti e dirette.

You'll see your problems multiplied
If you continually decide
To faithfully pursue
The policy of truth

L'ascoltatore disattento potrebbe forse farsi irretire dalla melodia accattivante, ma presto non potrà non rendersi conto di venire trascinato in abissi oscuri e affascinanti.
Elettronica forse non sperimentale ma efficacissima; voce di Gahan calda, cupa, ipnotica; anima rock, ossessività e squarci di dolcezza: tutto funziona alla perfezione e si armonizza.
Un album suonato - e da ascoltare - a luci spente, mai urlato, cristallino nella sua perfezione, tanto lampante da risultare evidente anche ai detrattori del genere. Un disco senza cali, senza una nota fuori posto, impeccabile ed emozionante. Spartiacque assoluto tra gli anni '80 e i '90.

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