lunedì 25 gennaio 2016

Tuxedomoon - Half mute / Scream with a view, 1980

Ecco un'opera che sfida il gusto e il senso dell'estetica musicale del grande pubblico del suo tempo (registrato nel 1979 e uscito l'anno successivo) e ancor più di quello odierno. Un disco che la maggior parte dei ragazzi degli anni Duemiladieci non solo non riuscirebbe ad amare ma neppure a tollerare, essendo cresciuta nel deserto postnucleare della morte della musica, immolata in nome del puro canto, dall'hip-hop agli applauditissimi strilloni dei
talent show.
Con i polistrumentisti californiani Tuxedomoon, di stanza nella colta ed europea San Francisco - ma inclini alle trasferte da questa parte dell'oceano - ci spingiamo in una zona oscura, affascinante e intellettuale dove la musica, quella vera, è pura arte, sperimentazione, provocazione, nonché esperienza multimediale che flirta con la videoarte.
Tecnicamente rientriamo nella new wave, ma mai come in questo caso l'etichetta sta stretta alla musa del gruppo e non riesce a descriverne che un frammento ingannevole. Si tratta piuttosto di musica da camera d'avanguardia che incontra il lato oscuro della new wave in chiave americana, sotto il nume tutelare dei Pere Ubu, e che resta nell'ombra lunga di Brian Eno: sono costruzioni fredde, geniali, forse troppo cerebrali per la maggior parte degli ascoltatori, ma l'orecchio - si sa - va anche allenato. Si respira un'atmosfera oscura, straniante e un po' distaccata, perché questi artisti sanno giocare con le influenze musicali, letterarie e cinematografiche (si ascolti James Whale su tutte) con disinvoltura per costruire percorsi assolutamente unici lungo i quali condurre chi vi si abbandona.
Si inizia coi paesaggi eterei di Nazca, in cui su un tappeto sonoro algido si fa strada un sax malinconico e singhiozzante. 59 to 1 è nevrosi fatta musica. Fifth column è un piccola perla che sembra quasi anticipare qualcosa del futuro trip-hop, a metà tra il free-jazz e i Portishead che verranno, raggelante e atmosferica. Esemplare il brano Tritone (Musica Diablo), in cui i Tuxedomoon giocano col "maledetto" tritono, proibito dalla Chiesa durante il Medioevo perché ritenuto l'intervallo diabolico: difficile da intonare, dissonante e inconsueto, distanziando di tre toni due note, il tritono contribuisce qui a creare una piccola perla di musica elettronica fuori dagli schemi. Prima di loro Liszt, Bernstein e diversi jazzisti vi avevano fatto ricorso. 
Sono altri, tuttavia, i brani più inquietanti e capaci di evocare desolazione, attivando attraverso il suono aree della psiche, in una sorta di esperimento psicotropo di tipo musicale: James Whale su tutte, in cui sembra di aggirarsi su uno dei set cinematografici dell'omonimo regista dell'orrore, a luci spente; o Loneliness, danza per automi o marionette; o ancora 7 years, in cui sembra di avventurarsi in una landa desolata, accompagnati da un canto dolente e ossessivo.
What use è il brano meno lontano dagli schemi della musica commerciale e più facilmente etichettabile come new wave nell'accezione pop del concetto.
Volo vivace è una vorticosa fuga virtuosistica per violino e basso.
Quando arriva il momento di KM si è ancora una volta sospinti verso zone misteriose e impreviste, non troppo lontano dalle atmosfere urbane del jazz di John Coltrane, ma ovviamente in una chiave elettronica più dissonante e disorientante. Il brano fa da introduzione alla conclusiva Seeding the clouds, divertita nenia solo apparentemente costruita sull'improvvisazione e sul dialogo tra gli strumenti.
La versione CD dell'album include anche il precedente EP del 1979 Scream with a view, dove troviamo altre gemme. Where interest lies è quanto di più vicino si possa sentire ai Simple Minds di Real to real cacophony e Empires and dance, a testimonianza di quanto fossero grandi prima di smarrirsi, cosa che ai Tuxedomoon non è mai accaduta.
Half mute / Scream with a view è un disco spiazzante, in cui il sax di Steven Brown si mescola all'elettronica dei synth, al violino di Blaine Reininger, alla drum machine, a spazi sonori desolati e affascinanti improntati al minimalismo. Un disco glaciale, per molti versi; ma anche un viaggio dissimile da tutti gli altri che la musica ci spinge a compiere nella nostra mente.
Assolutamente non per tutti.

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