domenica 24 gennaio 2016

Gentle Giant - Octopus, 1972

Parliamoci chiaro: questa è musica di un altro pianeta, in tutti i sensi. Ai margini dello stesso coevo progressive rock, estranea alle classifiche non solo di oggi ma anche del suo tempo, sideralmente aliena rispetto al moderno piattume e al moderno concetto di cosa sia la "musica", arditissima nelle ambizioni e nelle costruzioni sonore, ritmiche, melodiche. Musica cerebrale? Pretenziosa? Forse. Ma quanti gruppi sono capaci di mettere in gioco (suonandoli per davvero) tutti gli
strumenti musicali che troviamo nella discografia di questa band dallo straordinario tasso tecnico e dalla vulcanica inventiva?
I Gentle Giant, per i quali fu coniata l'originale e appropriatissima etichetta di baroque'n'roll, furono band di piccolo culto probabilmente perché in molti casi il rapporto tra grandezza artistica e successo è inversamente proporzionale. Ebbero un successo piuttosto limitato in terra albionica e paradossalmente furono più apprezzati e seguiti nell'Europa continentale e in particolare proprio in Italia, tanto da influenzare marginalmente i nostrani gruppi prog, come la PFM, il Banco del mutuo soccorso o Le Orme. Ma la verità è che nessuna band ha mai veramente raccolto l'eredità dei tre fratelli Shulman e dei loro amici, geniali menestrelli capaci di tessere intrecci musicali inusitati, barocchi, dissonanti, restando nella pura forma canzone, senza ricorrere alle lunghe suites tipiche del progressive tradizionalmente inteso. Addirittura pochi si sono cimentati in tentativi di cover data l'estrema complessità d'esecuzione delle loro creazioni.
Complessità, tuttavia, non significa magniloquenza. I Gentle Giant, qui e nel resto della loro produzione, sono lontani dalle pretese esagerate e un po' velleitarie degli Emerson, Lake & Palmer; non meno bravi tecnicamente ma capaci di parlare, oltre che del loro modello preferito, Gargantua e Pantagruel di Rabelais, anche della realtà, dell'amicizia, di una gatta, di un cane, come cantori di strada ironici e intelligenti, anziché scrivere suites di venti minuti su un armadillo cingolato (cf. la pur leggendaria Tarkus degli ELP) o altre stravaganze fantasy in forte sospetto di ispirazione lisergica. Complessità e semplicità. Il tradizionale progressive sta al genere letterario del fantasy come i Gentle Giant stanno all'autentica letteratura medievale, che parlava di realtà del proprio tempo.
Raconteur, Troubadour, con i suoi violini, il piano, le voci che si rincorrono e i suoi infiniti cambi di tempo, danza davanti a noi illudendoci di essere alla corte di qualche esigentissimo principe rinascimentale. La fantasia creativa dei Gentle Giant trova un altro episodio impareggiabile in Knots, altro pezzo antologico dell'arte multiforme mai stanca di inventare. E che dire della favolosa trascinante The boys in the band, strumentale che gioca a rimbalzare tra proto-fusion e folk?
Octopus, come tutti i loro dischi fino al 1978, resta come testimonianza di cosa avrebbe potuto essere la musica contemporanea se non fosse naufragata nel Grande Nulla.

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