sabato 29 ottobre 2016

King Crimson - Lizard, 1970

La storia si ripete: ancora un disco che vede avvicendarsi musicisti di transizione, destinati ad andarsene tanto in fretta quanto rapidamente erano arrivati. La "porta girevole" del palazzo di Re Robert Fripp (curiosamente un'espressione che verrà usata da un altro Robert, Smith, dei Cure) non smette mai di girare per dare spazio a talenti sempre nuovi, facendo dei Crimson un'incarnazione proteiforme della visione assoluta e senza compromessi di un uomo solo, al punto di tenere a battesi-
mo due album nello stesso anno solare sotto lo stesso nome ma con due line-up diverse; forse un record.
Orfano della voce splendida di Greg Lake, Fripp aveva fatto ricorso all'aiuto dell'ex compagno di scuola (alla Queen Elizabeth School di Wimborne, nel Dorset), Gordon Haskell fin dalle registrazioni di In the wake of Poseidon (cantava in Cadence and Cascade), convincendolo a entrare nella band stabilmente per il disco successivo. Ma gli astri non erano allineati a dovere perché il bassista e vocalist, amante del soul, visse le registrazioni del nuovo materiale come un calvario, incapace com'era di entrare in sintonia con musica tanto raffinata e testi allegorici come quelli di Peter Sinfield, per lui incantabili. Altrettanto sofferta fu la partecipazione di un altro neo acquisto, il batterista Andy McCulloch. Le conseguenze furono pesanti scombinando i piani per il previsto tour live, che dovette essere annullato.


Nel nuovo caos emersero però i talenti del sassofonista e flautista Mel Collins e del pianista jazz Keith Tippett (già apparsi nel precedente lavoro), oltre a quelli di session man esterni come i fiatisti Robin Miller, Mark Charig e Nick Evans (tromba, trombone, corno inglese, oboe, ecc.), che spinsero il vascello di Fripp verso lidi art jazz grazie ai loro arrangiamenti, ai confini dei reami di Miles Davis e dell'avant-garde.

Il disco che prende forma segna una netta discontinuità con le due prime prove crimsoniane, tanto da risultare spiazzante per l'ascoltatore; e non è certo il cambio di voce quanto piuttosto un sound totalmente diverso, un altro sentiero aperto nella terra vergine del prog rock, e non l'ultimo sul quale Fripp e soci faranno da apripista: l'epica a tratti apocalittica e il lirismo cedono il passo a un che di farsesco e a ritmi imprevedibili, originali costruzioni strumentali degne di una ensemble jazzistica che si esibisca alla corte di un sovrano medievale esigente e dai gusti raffinati; perché Lizard è questo, un capolavoro sofisticato per palati fini, unico nel suo genere, inclassificabile anche nel panorama progressive. L'effetto straniamento è dato persino dalla stessa copertina del disco, un acquerello dell'illustratrice Gini Barris ispirato apparentemente al celebre libro miniato Book of Kells, raccolta irlandese dei Vangeli risalente addirittura al IX secolo: i capilettera che formano il nome della band sono deliziose miniature che riproducono scene tratte dai brani e concordate con il paroliere Peter Sinfield per nascondere probabilmente significati alchemici ed iniziatici non del tutto chiariti; esse formano la parola "CRIMSON" sul recto e "KING" sul verso.


La prima facciata del disco si apre con Cirkus, brano cantato, sì, ma non una canzone: la melodia lascia spazio alla forma aperta all'improvvisazione nella quale si trovano a loro agio i jazzisti inglesi, abbandonandosi ad assoli dei fiati che galleggiano sull'onnipresente mellotron di Fripp (ma non mancano i suoi virtuosismi chitarristici) senza trovare un porto sicuro, anzi: è come se ognuno suonasse la propria musica battagliando con gli altri musicisti in un duello, finché dalla disarmonia, dal contrasto stridente emerge un'arte aliena al gusto comune dotata di una sua strana, obliqua bellezza. Il crescendo della sezione finale richiama le bande circensi fino a sciogliere rapidamente la tensione. Il testo pare giocare con le immagini allegoriche del circo per ironizzare sulla vita umana nel consueto stile ermetico ed esoterico di Sinfield.

Poi tocca a Indoor Games, un'altra satira corrosiva come lo era stata Cat Food, questa volta diretta alle eccentricità dell'alta borghesia, le cui stravaganze vengono motteggiate senza pietà spingendo il pedale sul grottesco.

Your mean teetotum spins arouse your seventh wife
Who pats her sixty little skins
And reinsures your life,
Whilst you sulk in your sauna
'Cos you lost your jigsaw corner-
Playing Indoor Games, Indoor Games.

Each afternoon you train baboons to sing
Or swim in purple perspex water wings.
Come Saturday jump hopper, chelsea brigade,

High bender-trender it's all Indoor Games.

Le risate incontrollate di Haskell, incapace di prendere sul serio il testo e lo stile del paroliere, devono essere sembrate calzanti come chiusa del pezzo.

Segue un altro brano irregolare, Happy Family, che a dispetto di un titolo solare e sereno ha un andamento sconnesso, disturbato, con la voce pesantemente filtrata e affogata tra fiati, piano e mellotron: la stessa presunta "canzone" si sfalda dopo un paio di minuti in una sezione strumentale fatta di improvvisazioni jazzistiche di piano elettrico, trombone e flauto che nuovamente gareggiano fra loro. Il testo ironizza sullo scioglimento dei Beatles nel 1970: i quattro di Liverpool (ritratti anche nella "I" della copertina) nel testo diventano "Brother Judas", Paul McCartney, "Uncle Rufus", Ringo Starr, "Cousin Silas", George Harrison, e "Nasty Jonah", John Lennon, che - a differenza di Harrison che "si è fatto crescere la barba" - "si è fatto crescere una moglie", una Yoko Ono che nel disegno esce come un genio dalla lampada, in inglese un "genie", assonanza voluta con il nome della Barris, "Gini", autrice delle lettere miniate.

Happy family, pale applause, each to his revolving doors.
Silas searching, Rufus neat, Jonah caustic, Jude so sweet.
Let their sergeant mirror spin if we lose the barbers win;
Happy family one hand clap, four went on but none came back.

Lady of the Dancing Water, che chiude la prima facciata, è il brano più tradizionale per forma e melodia, una ballad romantica che ricalca le armonie dolci di I talk to the wind e Cadence and Cascade: chitarra acustica e flauto e poi trombone di Evans, che sembra ovattare l'atmosfera. Uno dei passaggi più romantici e toccanti nella storia della band.

Grass in your hair stretched like a lion in the sun
Restlessly turned moistened your mouth with your tongue.
Pouring my wine in your eyes caged mine glowing
Touching your face my fingers strayed knowing.
I called you lady of the dancing water.


Il lato B del disco è interamente occupato dalla suite più lunga che i Crimson abbiano mai partorito, la titletrack Lizard di ben ventitré minuti che racchiude in sé tutta la gamma formale che la musica può produrre, un compendio di stili eterogenei di grande spessore; un brano memorabile che forse sarebbe più a suo agio in un disco registrato da una ensemble di musica contemporanea.
Testo e concept sono incentrati sulla figura fantastica del Principe Rupert, ispirato a Rupert duca di Cumberland (Praga 1619 - Westminster 1682), conte palatino del Reno e duca di Baviera, soprannominato "il Principe". Nipote di re Carlo I Stuart d'Inghilterra, fu condottiero, chimico, forse alchimista e divenne famoso per quelle che furono poi chiamate "gocce del Principe Rupert", gocce di vetro fuso fatte colare in acqua fredda con l'effetto di temprarsi al punto tale da resistere alle martellate nella parte bulbosa ma, di contro, di andare in pezzi in una polvere di vetro finissima alla minima scalfitura della coda.
La suite - nella sua sezione iniziale, Prince Rupert Awakes -  si apre a sorpresa con la voce di un ospite, Jon Anderson degli Yes, più adatto al compito rispetto a Gordon Haskell in virtù del suo timbro. Le parole, quantomai enigmatiche, potrebbero alludere tra le altre cose a una satira sul clero organizzato e a un allegorico percorso iniziatico.
Segue un secondo movimento strumentale (privo, però, della chitarra di Fripp), Bolero - The Peacock's Tale, un bolero - appunto - sostenuto da un rullante sul quale si innestano la cornetta, l'oboe, una ripresa del precedente tema di Prince Rupert Awakes in chiave blues/jazz con fiati, una versione sinfonica e per finire l'oboe a introdurre un crescendo conclusivo. I musicologi più esperti vi hanno scovato anche una ricorsiva citazione della Sonata per flauto e pianoforte in Re maggiore op. 94 di Sergej Prokofiev.


Terzo movimento è The Battle of Glass Tears, suddiviso in ulteriori sottosezioni: Dawn Song, cantata da Haskell e che rappresenta l'alba del giorno della battaglia; Last Skirmish, sezione dominata dal mellotron; Prince Rupert's Lament, nella quale trova spazio l'unico assolo di chitarra elettrica di Fripp in tutto il disco e che pone fine alla "battaglia delle lacrime di vetro" narrando il funerale del Principe.
nella "M" il Principe Rupert con la Morte
Si chiude con l'enigmatico, breve valzer Big Top, che riprende in maniera anulare le atmosfere circensi d'apertura del disco con una progressiva accelerazione da giostra impazzita, che forse presta il fianco alle critiche di pretenziosità e vacui intellettualismi.
Del resto, è musica che o si ama o si odia.

La terza prova del Re Cremisi giunge così al termine, sfuggente, enigmatica; di certo più difficile per l'ascoltatore medio di quanto non fossero i primi due dischi dei Crimson, con una costruzione dei brani assolutamente non lineare o prevedibile, nel segno di una musica che è ormai già del tutto "altro" rispetto al rock, un genere rimasto sullo sfondo, trasformato, trasceso, presente solo in filigrana: è nata la musica "assoluta", sciolta da ogni costrizione.



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