sabato 5 novembre 2016

King Crimson - Larks' tongues in aspic, 1973

Stupendo. Ostico. Rivoluzionario. Aspro. Tagliente. Imprevedibile. Gli aggettivi che si possono attribuire a questo lavoro sono quelli rappresentativi dei Crimson tout court come artisti e come singolarissima "isola" all'interno del prog rock. Una bellezza ripida, scoscesa, per raggiungere la quale occorre affrontare un'erta aspra fatta di suoni non sempre familiari e talvolta persino minacciosi, di mutamenti improvvisi di ritmo e umore; ma il panorama che si ottiene lassù, sulle
vette della musica, è mozzafiato.

Nel luglio del 1972 era uscito Earthbound, controverso album dal vivo prodotto svogliatamente e che segnava nel contempo la fine della band che aveva collaborato agli ultimi lavori (per quanto instabile fosse stata anche prima). Il nuovo terremoto nella line-up non segnava solo l'ennesimo rimpasto ma uno scioglimento completo. Prova ne era l'abbandono fin dall'inizio di quell'anno da parte di Peter Sinfield, paroliere (e tecnico delle luci!) con il quale Robert Fripp aveva collaborato fin dall'esordio del 1969.
Sarebbe bastato questo addio a marcare simbolicamente la chiusura della prima fase della storia del marchio King Crimson, un nome che proprio l'hippy innamorato dell'occulto e delle immagini fantastiche aveva coniato. Fripp era stanco di tutto, delle liriche fiabesche e misticheggianti di Sinfield ma anche delle residue tracce del rock convenzionale e dello stesso prog - ormai stereotipato - che restavano nel sound coltivato fino ad allora; intendeva proseguire la sua esplorazione dell'ignoto musicale, inseguendo la sua ammirazione per il compositore ungherese Béla Bartók per oltrepassare anche l'impronta fortemente jazz degli ultimi due dischi e dare vita a una variante rock della musica contemporanea. Al rock sarebbe tornato, dunque - e molto più di prima - ma a un rock di un tipo inedito, contaminato, trasfigurato.

Tutti i musicisti compagni di avventura di Fripp si erano accorti del disagio del leader, speculare al loro, e lo abbandonarono per dedicarsi ad altri progetti: Sinfield si mise a scrivere i testi per gli Emerson, Lake & Palmer, ricongiungendosi con l'ex collega Greg Lake; Ian Wallace, Boz Burrell e Mel Collins - dediti alla trasgressione e alle droghe, a differenza dello schivo e metodico Fripp che le aborriva - confluirono negli Snape. Collins militò poi nei Camel, Alan Parsons Project, Dire Straits e fu session man di una miriade di altri artisti.
Fu un'autentica diaspora; e non l'ultima in quella che non era mai stata una band ma un laboratorio di suoni - cosa che si apprestava ad essere ancor più di prima.

Fripp, solo come mai prima di allora, dopo aver ucciso la sua creatura dovette reinventarsi una band completamente da zero. Il primo acquisto (arruolato come volontario) fu Bill Bruford, batterista degli Yes, transfuga ormai frustrato nel suo vecchio gruppo e alla ricerca di quella sperimentazione che alla corte del Re Cremisi certamente non sarebbe mai mancata. Presto si unì a loro John Wetton, bassista e cantante dei Family con il quale Fripp aveva già suonato fin dagli anni Sessanta. L'ingresso di Wetton determinò a sua volta quello del suo amico e nuovo paroliere Richard Palmer-James, membro fondatore dei Supertramp, che avrebbe contribuito alla trilogia crimsoniana del '73-'74 scrivendo i testi ma collaborando - singolarmente - solo a distanza, per lettera, finendo per rivestire un ruolo molto più marginale rispetto a Sinfield. Poi fu la volta del percussionista Jamie Muir, pittoresco e geniale rumorista proveniente dalla Music Improvisation Company che ricorreva persino a fischietti, catene, seghe, sacchetti di foglie secche e altri oggetti improbabili per arricchire il suono - questo prima di lasciare dopo un anno il gruppo e ritirarsi in un monastero tibetano scozzese diventando un monaco per qualche anno e approdando infine alla pittura come ragione ultima di vita.
Il quintetto si completò infine con il violinista David Cross, che si occuperà anche di viola, mellotron e flauto.


Questa formazione nuova di zecca andò in tour nella seconda metà del '72 sperimentando e suonando dal vivo nuove composizioni con l'intento di inciderle al più presto, al principio del '73, sperando di riuscire a catturare e immortalare su disco - nei limiti del possibile - quanto di magico si era prodotto sul palco in quelle esibizioni. Così venne finalmente registrato l'album che segnava la palingenesi dei Crimson, un lavoro rivoluzionario e spigoloso, mix di ballate e improvvisazioni sghembe e affascinanti. Larks' tongues in aspic, cioè "lingue d'allodola in gelatina", fu l'assurdo nome coniato dal guru folle Jamie Muir per alludere alla delicatezza eterea immersa in qualcosa di corposo, un'unione degli opposti che (pur lasciandosi alle spalle l'esoterismo di Sinfield) si rifaceva al concetto orientale di Yin e Yang, ripreso sulla copertina del disco con l'immagine alchemica della sizigia Sole / Luna, l'allineamento-congiunzione giorno / notte, maschio / femmina. La consapevolezza di stare creando in musica una sintesi di elementi antitetici doveva essere forte in quella combriccola di artisti.

A scaturire da questo nuovo impasto di talenti estrosi fu un sound completamente diverso dal passato, nuova incarnazione di quel "modo di fare le cose" che sarà l'unica essenza dei sempre diversi King Crimson: al sassofono e al flauto si sostituiva il violino, alla batteria si aggiungeva il già citato arsenale di folli oggetti usati per le percussioni e la chitarra stessa cambiava faccia. Il prog era ormai legato ad alcuni cliché (magniloquenza epica e immaginario fiabesco-simbolico) e a Fripp andava stretto proprio in quanto "genere" troppo codificato. Lo lasciava volentieri ai Genesis, agli Yes, agli ELP e a tutte le innumerevoli band di rock sinfonico che ritenevano di aver trovato una loro cifra stilistica in cui accomodarsi per gli anni a venire. Il nuovo sound che aveva in mente il chitarrista era aspro, spigoloso, futuristico e tesissimo con costruzioni ardite, voli pindarici di improvvisazione nel solco del jazz rock di Miles Davis, della Mahavishnu Orchestra (spesso accostata a certi lavori frippiani, costituita da musicisti che con Davis avevano suonato e dotatasi di un rumorista esattamente come i Crimson con Muir) e in un certo senso degli stessi Weather Report con la loro fusion, un genere che proprio nel '73 avrebbe visto il suo boom (Sweetnighter dei Weather Report, Birds of fire della Mahavishnu Orchestra, Hymn of the seventh galaxy di Chick Corea, Headhunters di Herbie Hancock, e molti altri); il tutto filtrato dalle geometrie imprevedibili della mente di Fripp e declinato secondo la tecnica del contrappunto a la Bartók.
Addio progressive! Colui che -in un certo senso - lo aveva dato alla luce nel '69 ora lo uccideva.


Larks' tongues in aspic, part I è l'incarnazione perfetta di questo nuovo modo di fare musica. Un lungo brano strumentale che mette in luce come l'improvvisazione collettiva fosse una delle caratteristiche principali dei nuovi Crimson. Si apre con un sussurro di percussioni che evocano scenari tropicali con ritmiche etniche - e non a caso proprio Bartók, fonte di ispirazione così centrale, fu fondatore dell'etnomusicologia; ma poi si fanno più fredde e metalliche richiamandosi allo sperimentalismo minimalista di Steve Reich (allievo di Luciano Berio). La direzione intrapresa è quella dell'improvvisazione virtuosistica.
Gli archi fanno il loro ingresso al terzo minuto (da brividi il violino di David Cross, che citerebbe The Lark Ascending del compositore Ralph Vaughan Williams) creando una continua tensione emotiva che prelude all'ingresso della chitarra elettrica di Fripp, con un riff hard rock distorto, aggressivo e ossessivo; il tutto accompagnato dal basso di Wetton. Di nuovo Fripp, con i suoi arpeggi jazz rock e il fraseggio percussivo originalissimo tra Muir e Bruford che vive di tempi dispari. Poi, a 7 minuti e mezzo, il vuoto, lo scioglimento spiazzante della tensione e il violino che improvvisa liberamente accompagnato da fischietti che imitano il verso di uccelli lontani, mentre si inserisce nel flusso sonoro anche un parlato registrato (tratto da un radiodramma britannico) fino agli arpeggi finali della chitarra.
Un caravanserraglio di idee e suoni cervellotici, geometrici eppure selvaggi, strutture ritmiche atipiche ere geologiche prima del futuro math rock (che infatti proprio ai Crimson e al minimalismo musicale si ispirerà da fine anni '80). Un sound intellettualoide e narcisistico? Forse. Di certo una sezione ritmica da storia della musica nel gioco continuo tra Bruford e Wetton, così tecnici e ispirati.
Il progressive è alle spalle ormai: resta la scansione in movimenti, ma senza le ambizioni classicheggianti che impongono di dare titoli a ogni sezione. C'è un maggiore spazio riservato all'indeterminatezza, come se il brano fosse un canovaccio in più parti sul quale ciascuno dei musicisti potrà improvvisare nelle esibizioni live consentendo a questa strana musa di presentarsi con il suo volto migliore - ogni volta differente e superiore alla versione incisa su disco.
Dopo tredici minuti vertiginosi il concetto di cosa possa essere la musica cosiddetta "rock" è stato ridefinito per sempre.


Segue Book of Saturday, una malinconica ballata giocata fra gli arpeggi di Fripp (con assoli riprodotti alla rovescia, sperimentazioni non lontane dalla futura tecnica del frippertronics tenuta a battesimo in coppia con Brian Eno) e il violino di Cross. Exiles è forse la traccia più intrisa di lirismo e più vicina al sound dei primi King Crimson, quelli dell'album d'esordio del '69. La seconda facciata si apre con Easy money, dominata dalle distorsioni chitarristiche frippiane che servono a cucire fra loro le improvvisazioni degli altri musicisti in ritmi accidentati e irregolari.
Dopo questo trittico di brani cantati che recuperano la forma-canzone solo in apparenza per reinventarla fuori da ogni schema, gli ultimi due pezzi sono nuovamente strumentali - e fra loro collegati.
The talking drum è un crescendo ipnotico di percussioni tribali (donde il titolo della traccia, che fa riferimento alla cultura musicale e alle credenze degli Yoruba africani): una lunga jam sostenuta dal basso ossessivo di Wetton che culmina in un assordante stridore creato da trombette di bicicletta suonate da Muir direttamente con la bocca. Il fragore si spegne nel memorabile attacco hard rock del brano seguente, la seconda parte della titletrackLarks' tongues in aspic, part II, altro strumentale duro, modernissimo, figlio dell'idea dei nuovi King Crimson che Robert Fripp coltivava e che impronterà di sé il futuro della band all'insegna di indimenticabili progressioni chitarristiche. Questo incipit si basa su accordi elettrici dalla ritmica marziale che, a detta dello stesso Fripp, sono ispirati all'incipit de Gli àuguri primaverili - Danza delle adolescenti dalla Sagra della Primavera di Stravinskij.
La seconda metà del brano insegue progressioni armoniche ascendenti che sembrano non terminare mai, salendo sempre più in alto, accrescendo la tensione fino al parossismo. Un brano-manifesto dei nuovi Crimson.
La saga di Larks diventerà un leitmotiv per Fripp, che ne scriverà due ideali continuazioni con una parte III su Three of a perfect pair (1984) e una parte IV su The ConstruKction of Light (2000).

È difficile trovare oggi, in pieno XXI secolo (il secolo dell'"uomo schizoide" di cui i Crimson cantavano nel 1969) musica concepita a fine 1972 che sia invecchiata così bene, che suoni altrettanto moderna, attuale (in particolare i brani strumentali) senza apparire datata come molte altre composizioni del periodo.
La cifra di questo lavoro monumentale - quella della continua dialettica ordine / disordine, riff geometrici frippiani / improvvisazione free-form - fu l'esaltazione della sintesi di personalità e talenti eterogenei. Dopo almeno due dischi di negazione totale del rock (Lizard e Islands), la nuova incarnazione del sogno cremisi fu una reinvenzione del rock stesso, ancorché in una nuovissima veste, aspra, minacciosa, geometrica, a tratti ancora dolcissima ma di certo sempre intellettuale, studiatissima e mai banale.




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